Semisepolto in mezzo a una pista sciistica sopra Champoluc in Val d'Aosta viene rinvenuto un
cadavere. Sul corpo è passato un cingolato in uso per spianare la neve smembrandolo e
rendendolo irriconoscibile. Poche tracce lì intorno per il vicequestore Rocco Schiavone da poco
trasferito ad Aosta: briciole di tabacco lembi di indumenti resti organici di varia pezzatura
e un macabro segno che non si è trattato di un incidente ma di un delitto. La vittima si chiama
Leone Miccichè. È un catanese di famiglia di imprenditori vinicoli venuto tra le cime e i
ghiacciai ad aprire una lussuosa attività turistica insieme alla moglie Luisa Pec
un'intelligente bellezza del luogo che spicca tra le tante che stuzzicano i facili appetiti del
vicequestore. Davanti al quale si aprono tre piste: la vendetta di mafia i debiti il delitto
passionale. Quello di Schiavone è stato un trasferimento punitivo. È un poliziotto corrotto
ama la bella vita. Però ha talento. Mette un tassello dietro l'altro nell'enigma dell'inchiesta
collocandovi vite e caratteri delle persone come fossero frammenti di un puzzle. Non è un
brav'uomo ma non si può non parteggiare per lui forse per la sua vigorosa antipatia verso i
luoghi comuni che ci circondano forse perché è l'unico baluardo contro il male peggiore la
morte per mano omicida (in natura la morte non ha colpe) o forse per qualche altro motivo che
chiude in fondo al cuore.